Genova e la lingua genovese

Monegasco e genovese sono due varianti dello stesso idioma.

Tutto questo emerge da un recente volume, “Gênes et la langue génoise, expression de la terre et de la mer, langue d’ici et langues d’ailleurs”.

Si tratta di una raccolta degli ”Atti del 16° colloquio internazionale sulle lingue dialettali“ (Monaco, 16 novembre 2019), pubblicati sotto la direzione di Claude Passet. Prefazione di S.A.S. il Principe Alberto II di Monaco. Formato 145 x 230 mm, 622 pagine, 90 illustrazioni, Monaco, Edizioni EGC, 2021. ISBN 978-2-911469-67-1.

La raccolta contiene trenta articoli, in francese, italiano e monegasco, di ricercatori, accademici, storici e linguisti di nove Paesi, dodici università e vari centri di ricerca.

I contributi riguardano la storia, la storia dell’arte, la lessicografia, la linguistica, la sociolinguistica del “mondo genovese” in senso lato (Liguria, Monaco, Provenza, contea di Nizza, Sardegna, Svizzera, Tunisia, Isole greche, mondo marittimo mediterraneo e Sud America), dal XII secolo ai giorni nostri. Particolare attenzione è stata dedicata al Principato di Monaco e al suo rapporto con l’area genovese.

Claude Passet è l’attuale presidente della Académie des Langues Dialectales de Monaco. L’Accademia ha avuto lo statuto approvato nel 1981, con il sostegno del Principe allora regnante Rainier III.

Abbiamo già parlato del monegasco in  questo blog, pertanto ricordiamo ai nostri lettori che Il monegasco è una lingua italica, l’erede della parlata dei genovesi che occuparono la Rocca nel lontano 8 gennaio 1297. La lingua si è preservata fino ad oggi anche se vi sono stati cambiamenti, modifiche e interazioni con le parlate circostanti; nei luoghi vicini non si parlavano dialetti liguri, ma provenzali, definiti dai linguisti simili, ma non uguali e non sempre intercomprensibili.

La lingua di Genova ha avuto nei secoli una grande diffusione grazie al dinamismo dei suoi mercanti, banchieri e marinai. Non è un caso che Cristoforo Colombo fosse genovese.

In Corsica, in Sardegna vi sono località dove ancora lo si parla. In passato è stato presente in Tunisia, a Gibilterra; il dialetto di Buenos Aires è stato infarcito di parole liguri. Lo si parla ancora a Genova e in Liguria, ma non possiamo prevedere per quanto tempo ancora.  

Secondo il grande storico Fernand Braudel, Genova, la Superba, è stata “una economia mondiale, uno stato globale, un impero senza territorio,  Il suo tumultuoso gioco politico interno – scrive ancora Braudel – non avrà riflessi negativi sulle sue collettività all’ estero, una rete che va dal Mediterraneo orientale a Malaga e poi a Siviglia, a Nord a Londra, a Southampton e a Bruges, a Sud fino al Nord Africa. La sua forza è il sentimento di solidarietà e di lealtà delle collettività genovesi all’ estero..”. 

Fernand Braudel.

Braudel, uno dei più importanti studiosi europei di questo secolo, era convinto che il capitalismo moderno fosse nato proprio a Genova. Nel suo saggio “Civiltà e imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II”, Braudel definisce gli anni dal 1550 al 1640 “il secolo di Genova”, perché nella città si sviluppò ogni tipo di commercio. I genovesi ancora oggi sono riservati, non amano esibire le loro ricchezze e i tesori della loro affascinante città, non si sa se per pudore o per difendersi da qualsiasi contaminazione.

Genova e la Liguria furono il centro di quel vasto mondo per l’appunto chiamato da storici, linguisti e storci delle lingue come “Celto-Ligure” perché la popolazione risultava da un misto di Liguri e Celti.

Sappiamo che i Liguri costituivano lo strato più antico dell’insediamento d’Italia, che risale all’inizio del secondo millennio a.C. Furono soggiogati e poi sterminati dai Romani nel II secolo a.C. 

La loro lingua, il ligure, non era probabilmente di origine indoeuropea, ma pochi studi sembrano essere stati dedicati a questo argomento e la questione rimane tuttora aperta.

L’attuale lingua genovese conserva ancora influenze liguri, ma è diventata romano-celtica e indoeuropea.

Dal V secolo d.C., il ligure era così celtico da essere appena distinguibile dal gallico. Dal XIII secolo il genovese fu una lingua prestigiosa per le fiorenti attività economiche della Repubblica di Genova. Per tutto il Medioevo, il genovese fu usato come lingua amministrativa e come lingua diplomatica in gran parte del Mediterraneo. Nonostante una dominazione politica di cinque secoli, i genovesi non riuscirono a propagare la loro lingua, se non in alcune isole linguistiche della Corsica e della Sardegna; essi stessi adottarono il toscano come lingua scritta.

Il genovese rimase la lingua parlata dei genovesi fino al XIX secolo, ma declinò con la scomparsa della Repubblica di Genova.

Dall’inizio dell’Ottocento l’italianizzazione della Liguria ha portato alla dialettizzazione del genovese, ma il suo uso è continuato come lingua regionale in Italia (in Liguria), e sembra ancora abbastanza diffuso. In effetti, il numero di parlanti genovesi sarebbe di almeno 700.000, pari al 41% di una popolazione stimata di circa 1,7 milioni di persone. Oltre che in Italia, le varietà liguri-genovesi sono utilizzate a Monaco — lingua monegasca — e in Sardegna, in particolare a Carloforte (isola di San Pietro) e Calasetta (isola di Sant’Antioco), oltre che a Bonifacio (isola di Corsica ). Affinità linguistiche si possono osservare anche con alcuni dialetti meridionali d’Italia, in particolare il calabrese.

C’è chi si batte per la sua sopravvivenza, ma solo a Monaco ha acquisito dignità letterarie e uno status di lingua nazionale. Vi sono pure dizionari, grammatiche, fumetti di Tintin, reperibili alla FNAC di Monaco e un libro sul Papa emerito, “Joseph e Chico, ün gato chœnta a vita de Papa Benedetu XVI” pubblicato dalla Liamar Editions Monaco, reperibile presso l’editore.

Lo si studia a scuola, è obbligatorio, può essere materia d’esame per la maturità.

L’alfabeto è composto di 23 lettere, le stesse della lingua italiana ma non vi sono pertanto le lettere k, w e x. Le vocali si pronunciano  come in Italiano quindi la “u” si pronuncia u non ü come in francese. La “e” e la “o” sono in generale più chiuse che aperte. Esiste il suono “û”. I dittonghi si pronunciano come in Italiano, cioè distaccando i suoni delle singole vocali, quindi aiga, che vuol dire acqua, si dice a-i-g-a.

Anche le consonanti si leggono come in italiano. C’è qualche problema con la pronuncia della “r” fra due vocali. La pronuncia esatta può essere recepita solo da un monegasco che parli monegasco. La “j” si pronuncia invece come in francese. La “c” ha anche il suono “ç”  che si legge “s”, vedi  “tradiçiun”. L’accento tonico è di solito sulla penultima sillaba. 

Potete ora leggere correttamente e tranquillamente qualche proverbio

“U luvu perde u pûu ma non u viçi”.  Siccome è facile, non vi diamo la traduzione.

Questo invece è più difficile: “Qandu a marina stirassa i massacàn, se nun ciœve ancœi ciœve demàn”. Quando il mare trascina i sassi, se non piove oggi pioverà domani.