La non appartenenza di Monaco all’UE si riflette sulla fiscalità delle vincite al Casinò

Foto© Roulette.be

La non appartenenza di Monaco all’Unione europea* ha numerosi risvolti, alcuni di notevole rilevanza, altri invece marginali. 

È proprio ad uno di questi che è dedicato questo commento, che tratta un aspetto che probabilmente interessa poche e fortunate persone, ma che pone in evidenza una delle tante criticità collegate alla non appartenenza alla U.E. 

Ci si riferisce alle vincite che un fortunato cittadino italiano residente in Italia realizza giocando al Casinò di Monte-Carlo, vincita che è soggetta a tassazione, così come lo sarà a breve una vincita ottenuta in un Casinò d’oltre Manica: ciò in quanto la legislazione fiscale italiana qualifica le vincite  ottenute dal cittadino residente in Italia nei casinò situati in Paesi extra Ue o non aderenti allo Spazio economico europeo, quali redditi diversi da assoggettare a tassazione nel nostro Paese, mentre sono esenti da tassazione le  vincite ottenute in Italia, negli Stati Ue o aderenti al Spazio economico europeo.

Il Casinò di Monte-Carlo nel 1900. Foto © Monaco Channel

Recentemente su questo argomento si è espressa la  Cassazione con la sentenza n. 24589, depositata il 31 agosto 2020, coinvolta in questa questione conseguentemente ad una cospicua vincita, circa 1un milione e mezzo di euro, ottenuta da un cittadino italiano residente in Italia, importo che il fortunato vincitore non aveva dichiarato, sulla base del presupposto che una vincita realizzata all’estero non poteva subire una tassazione più elevata rispetto ad una vincita realizzata in Italia.

Sia in primo che in secondo grado l’imputato soccombe, ciò nonostante il fortunato giocatore decide di ricorrere in Cassazione, la quale perviene alle stesse risultanze dei precedenti gradi di giudizio.

Il Casinò di Monte-Carlo oggi. Foto © Visitmonaco

La Cassazione ricostruisce il quadro normativo, in particolare con riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia della Comunità europea del 2014, cause riunite C-344/13 e C-367/13 ed alla successiva legge europea 2015-2016 che ha infatti modificato la tassazione IRPEF delle vincite conseguite presso casinò situati nello Spazio economico europeo, assimilandola a quella applicabile alle vincite presso case da gioco nazionali. 

Successivamente alle modifiche normative  “le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell’Unione Europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta”.

È quindi di tutta evidenza che una vincita realizzata fuori dall’Unione europea è legittimamente assoggettata a tassazione. Rimane però aperta una questione, riguardante la determinazione della base imponibile: in sintesi l’intera vincita è tassata oppure può essere dedotto il costo della vincita, cioè le giocate fatte per arrivare alla vincita? In effetti quante “fiches” avrà dovuto acquistare il fortunato giocatore prima di vincere un milione e mezzo di euro ?

La Cassazione disconosce nella Sentenza la possibilità di dedurre dalla vincita l’ammontare delle spese sostenute per realizzarla, inoltre nella Sentenza, che rigetta il ricorso, vengono sviluppate a giustificazioni del rigetto riflessioni relative ai fenomeni di riciclaggio, di auto riciclaggio e alla fuga di capitali all’ estero.

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In effetti però qualche giudice di merito avrebbe riconosciuto la possibilità di dedurre dalla vincita lorda una somma a titolo di spese sostenute, ed una apertura in questo senso da parte dell’Agenzia delleEntrate sembra peraltro emergere anche dalla lettura della sentenza in commento, ove all’imputato è stato riconosciuto in sede di adesione un abbattimento dell’imponibile nella misura del 33% a titolo di provvista utilizzata dal giocatore (quale costo sostenuto per l’acquisto delle fiches).

Questo articolo è stato redatto con il contributo di Alberto Crosti, dottore commercialista, con Studio a Milano e Mentone. Email: dr.crosti@libero.it 

Casinò di Mentone. Foto © JEUCASINO.com

* Il Principato e l’Unione Europea

Sono in corso negoziati fra Monaco e l’Unione Europea.  Non si tratta della eventuale entrata del Principato nell’Unione, cosa assolutamente fuori discussione; tuttavia sta venendo alla luce il problema dei rapporti fra l’UE e i piccoli Stati, per i quali sono previste regole comuni. Negoziati in corso sono pure con Andorra a San Marino. Il Lichtenstein è uno Stato associato alla Svizzera, e quindi fuori da questa problematica. I trattati fra Monaco  e la Francia avevano fino ad un certo punto regolato la questione, ma, in virtù del diritto comunitario così come si è evoluto, uno Stato membro non può avere rapporti speciali e privilegiati con Stati fuori della EU.

I micro Stati europei. Foto © Wikipedia.

La situazione è complessa dal punto di vista giuridico, comunque sta il fatto che Monaco non ha ancora nessun rapporto di associazione con l’Unione Europea, con la quale tuttavia ha legami economici di grande rilevanza; non solo, ma il Principato offre lavoro a più di trentamila residenti in UE e costituisce, come abbiamo già rilevato altrove, un enorme bacino di occupazione, fatte le debite proporzioni, a favore di Stati dell’UE. I cittadini monegaschi tuttavia, a parte i rapporti con la Francia, sono, in teoria, extracomunitari e potrebbero avere difficoltà a lavorare e studiare i negli Stati dell’Unione europea, così come potrebbero esserci ostacoli alla libera circolazione di merci provenienti o prodotte da Monaco.

I negoziati sono iniziati nel 2013 e si prevede che potranno prolungarsi ancora per qualche anno; nel frattempo le cose vanno avanti come sempre sono andate, con molto senso pratico. Pertanto, poiché c’è l’intenzione e l’opportunità di regolare le cose, molti ritengono che il Principato dovrà impegnarsi in una intesa che tuteli comunque i suoi interessi e le sue specificità.  

Cosa è e come funziona l’Unione europea. Foto © isrlaspezia.it

Vi è una certa preoccupazione negli ambienti politici per timore che venga chiesto al Principato di ammorbidire le sue regole circa il controllo dell’apertura di attività imprenditoriali, l’esercizio delle professioni, la preferenza nazionale nell’impiego e il conferimento della cittadinanza.

Non tutti a Monaco sono d’accordo circa la necessità di avviare questi negoziati. La preservazione delle specificità di Monaco, che hanno garantito il grande successo economico del modello, è ritenuto essenziale.

Altri ritengono che al Principato si aprano grandi opportunità di sviluppo ulteriore con l’associazione e che la preservazione della specificità non corra pericoli anche se forse sarà necessario qualche aggiustamento.

Il dibattito è aperto fra le varie associazioni imprenditoriali, il governo, il Consiglio nazionale, gli ordini professionali, che si sono già mobilitati, e i sindacati. Il Principe non si è ancora pronunciato: spetta a lui l’ultima parola.

Infatti in una intervista apparsa su Monaco-Matin il 14 novembre 2015 il Principe rassicura i monegaschi: l’accordo è auspicabile, ma non al prezzo di sacrificare l’identità del Principato.

“On ne sera pas mangé par l’ogre européen”. [“Non ci lasceremo divorare dall’orco europeo”, nda].

Chiose sul vino / 2

Che vino bere con la pizza?

Noi credevamo la birra, così come fanno i napoletani. Chi meglio di loro, che hanno inventato la pizza, almeno quella ora universalmente conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo, può stabilire la migliore combinazione cibo/bevanda per quanto riguarda la pizza?

No, secondo l’autorevole periodico on-line FIGARO.fr VIN, la pizza si deve accompagnare con Champagne. La segnalazione è ricorrente, l’ultima è quella del 5 Novembre 2020.

 Nel caso della Margherita – ma la regola vale anche per le altre pizze purché fatte a regola d’arte e secondo la tradizione – si ha il gusto della pasta, cotta nel forno e fatta secondo regole immutabili, il gusto fresco, persistente del basilico il grasso del formaggio, la salinità del pomodoro richiedono un contrasto con un vino bianco vivace e stuzzicante che esalti il cibo. Chi meglio dello Champagne?

Fra gli Champagne quali? Laurent-Perrier e Moët & Chandon. Il sommelier consultato per l’occasione si chiama Enrico Bernardo, italiano, premiato migliore sommelier del mondo nel 2004, titolare a Parigi di un ristorante italiano stellato (una stella), che si chiama “Il Vino”.

Il nostro parere, come appassionato di vino, è che lo Champagne, come gli spumanti classici italiani, brut, possono essere bevuti con qualunque cibo non dolce. Io ci metterei anche il Prosecco, brut.

La birra, però…

Servono gli scioperi?

Le cronache dal Principato ci segnalano immagini insolite da queste parti del mondo: proteste di salariati di fronte al Grand Hotel Hermitage. La notizia è riportata su Monaco -Matin del 23 Dicembre 2020, vi è una foto che mostra i salariati che esibiscono un cartello di protesta dove sta scritto: “Ciü forti ünseme, viva munegu”.

Che lingua è? È monegasco ! Ricordiamo che il monegasco è lingua nazionale. Viene studiata obbligatoriamente nelle scuole del Principato e può essere portato come materia all’esame di maturità. In questa lingua viene cantato l’inno nazionale ed esortata la squadra di calcio. Daghe Munegu” (forza Monaco, dai Monaco). Il giornale Le Figaro ha perfino dedicato un articolo, nel 2017, per spiegare questa espressione. Altre informazioni sul monegasco si possono trovare in altri articoli del blog e soprattutto nel mio libro. Alla fine di questo articolo si trova una spiegazione più ampia dell’argomento*.

Tonando alla manifestazione  dei salariati abbiamo appreso che è in corso una vertenza fra la SBM e i sindacati in merito al piano di ridimensionamento dell’impresa a causa del COVID 19. I lavoratori non sono d’accordo e da qui è scaturita la vertenza.

Noi non entreremo in merito alla questione, ma cogliamo l’occasione per illustrare ai nostri lettori, soprattutto quelli lontani, come funzionano nel Principato le relazioni fra organizzazioni delle imprese e quelle dei lavoratori

Organizzazione degli imprenditori

Il Principato, pur essendo di dimensioni territoriali limitate, ha tutti i requisiti e le funzioni di uno Stato di grandi dimensioni. Come tale è pertanto strutturato e le piccole dimensioni non limitano gli spazi della sua attività.

Ci sono imprese, imprenditori e lavoratori e, come in ogni Paese democratico che si rispetti, gli imprenditori sono organizzati in associazioni padronali e i lavoratori in sindacati. Non tutti sono associati, ma quelli che lo sono, qualora raggiungano un certo numero di consensi, assumono posizioni di rappresentanza per tutta la categoria.

Così succede anche in Italia: non tutte le imprese sono aderenti alla Confindustria, ma questa, una volta raggiunta una certa consistenza organizzativa, rappresenta il mondo dell’impresa nel suo insieme, soprattutto nei rapporti con le amministrazioni pubbliche e i sindacati.

Creata nel 1945, l’organizzazione degli imprenditori monegaschi si chiama FEDEM – Fédération des Entreprises Monégasques – è l’equivalente monegasca del MEDEF – Mouvement des Entreprises Françaises – l’organizzazione delle imprese francesi.

Alla fondazione il nome dell’associazione era “Fédération Patronale Monégasque”, ma nel febbraio 2014 ha modificato il suo nome in quello attuale. Si è trattato di un evidente contributo al “politicamente corretto” in quanto il termine “patronal” suonava un po’ conservatore e paternalistico e non rispecchiava più la realtà delle imprese monegasche, molte delle quali sono quotate in borsa o filiali di multinazionali. Si tratta di un organismo interprofessionale senza scopo di lucro e si interessa  dei problemi e delle questioni che riguardano i propri associati. È diretto da un “Bureau fédéral”  eletto periodicamente in una assemblea generale dei sindacati padronali affiliati. I sindacati professionali sono una trentina  ai quali si aggiungono 80 membri corrispondenti, che sono aziende associate a titolo individuale per rinforzare la rappresentanza imprenditoriale. Le aziende associate  sono circa 800, di ogni tipo e dimensione, le quali complessivamente danno occupazione  a circa 22.000 persone, sul totale dei 52.000 salariati del Principato.

La FEDEM è l’interlocutore privilegiato delle Autorità monegasche nei riguardi delle imprese; come partner sociale è abilitata a discutere e negoziare l’insieme delle norme relative alla “Convention Collective Nationale du Travail” (il contratto di lavoro nazionale). Gli argomenti in discussione, oltre ai salari e le condizioni  di lavoro riguardano in generale  tutti i problemi dell’impresa, fino ad includere la politica degli alloggi e i trasporti. La FEDEM veglia in permanente affinché non venga danneggiata la competitività delle imprese monegasche, che, ricordiamo, operano spesso in un contesto difficile e conflittuale. In particolare in passato – e tuttora – hanno fatto in modo che l’orario di lavoro non andasse sotto le 39 ore settimanali (contrariamente alla Francia dove sappiamo che l’orario settimanale stabilito per legge è di 35 ore). Sono state evitati eccessive indennità di licenziamento, sono stati tenuti bassi gli oneri sociali, si è fatto in modo che la giurisprudenza del Tribunale del lavoro fosse più favorevole alle imprese. La tutela dell’impresa, ad ampio raggio, è pertanto lo scopo essenziale della associazione.

Oltre a questo vi è la rappresentanza di 200 mandatari della FEDEM che siedono in posti chiave delle varie organizzazioni dello Stato. Elenchiamo uno per uno questi organismi amministrativi, che ci aiuteranno a capire la complessità dello Stato Monegasco e la sua struttura.

  • Conseil Economique  & Social : consiglio economico e sociale, massimo organo consultivo par il governo  quando si devono prendere decisioni  in questi settori: economia, finanza, commercio, turismo e industria. Si compone di 36 persone, 12 designate dal governo per la loro competenza, altre 12 su indicazione della FEDEM e 12 dai sindacati dei lavoratori.
  • Caisse de garantie des Créances des salariés : cassa di garanzia dei crediti dei salariati.
  • Tribunale del lavoro : i componenti di questo tribunale sono 24 designati dai lavoratori e 24 dai datori di lavoro. Il presidente e il vicepresidente sono eletti a maggioranza dalla assemblea. A questo tribunale si dà molta importanza ai fini di garantire la pace sociale. Nel mese di maggio del 2016 é stata celebrata con un certa solennità il 70° anniversario della fondazione, alla presenza del Principe, del governo e di tanti notabili, in un luogo prestigioso, la sala Belle Epoque de l’Hotel Hermitage.
  • Cour supérieure d’Arbitrage, ufficio giudiziario, istituito fin dal 1948, per regolare i conflitti collettivi di lavoro, quando tutte le altre possibilità sono state esaurite.
  • Comité  de Contrôle des Caisses Sociales Monégasques: queste casse sono quattro (CCSS-CAR-CAMTI-CARTI) ed insieme costituiscono il Wellfare State di Monaco, cioè il sistema assistenziale obbligatorio per salariati e lavoratori indipendenti. Viene finanziato da contributi legati ai salari (i cosiddetti oneri sociali), pagati da imprenditori e lavoratori.
  • Comité financier de la Caisse Autonome de Retraite.
  • Association monégasque de Retraite par Répartition.
  • Association Monégasque pour la structure financière.
  • Chambre de développement  Économique de Monaco: questa organizzazione è una grande agenzia per lo sviluppo e il consolidamento dell’economia monegasca, la sua internazionalizzazione e la cura dell’immagine per attirare capitali esteri. Nel 2015, il 14 settembre, si è potenziata e trasformato in Monaco Economic Bord con due bracci operativi: la Monaco Chamber of Commerce e Monaco Invest. Il gruppo dirigente di questo organismo coinvolge tutti i protagonisti delle attività politiche ed economiche del Principato e naturalmente gli imprenditori della FEDEM sono ben presenti.
Hotel Hermitage. ©Foto: VisitMonaco.

 La partecipazione a questi organismi comporta pure la presenza in varie “Commissions Paritaires” che intervengono in merito a tutti i problemi  economici e sociali che possono sorgere a Monaco, e agli eventuali conflitti che possano scaturire.

Gli imprenditori monegaschi che aderiscono alla FEDEM partecipano a vari livelli alla vita economica ed anche politica  del Principato e ne sono dettagliatamente informati mediante una continua comunicazione, sia ad personam sia tramite il proprio giornale Monaco Business News. Fra  tante altre cose possono usufruire di un’assistenza giuridica specialistica in diritto del lavoro, quanto mai necessaria vista la relativa complessità della materia. Hanno diritto ad un accesso privilegiato alla formazione professionale e ai vari contributi governativi previsti a riguardo.

Le imprese rappresentate

La FEDEM rappresenta tutte le imprese, mentre la Confindustria italiana, prevalentemente orientata verso l’industria manifatturiera, non raggruppa commercianti, artigiani e le aziende piccolissime, che sono organizzate in associazioni diverse ed autonome.

Scorrendo l’elenco delle associazioni di imprese aderenti  alla FEDEM ci si rende conto della complessità del tessuto produttivo del Principato. Vediamo quali sono: commercianti ed artigiani, (particolarmente numerosi); aziende collegate alle energie rinnovabili ed alla Ecologia; agenzie immobiliari; orologeria e gioielli; moda (Chambre Monégasque de la mode); assicuratori; yachting; nuove tecnologie; shipping, cioè trasporti marittimi, armamenti battelli di ogni tipo, intermediazione per acquisti e vendite di ogni tipo di imbarcazione; accessori per auto; aziende interinali; agenzie di viaggio; arredamento ed architetture d’interni; agenzie di prevenzione e sicurezza; società di intermediazione e brokeraggio; agenzie di comunicazione: pubblicità e gestione spazi; aziende chimiche e farmaceutiche; grossisti  ed aziende alimentari; trasporti; società di pulizie e manutenzione; aziende produttrici di articoli sanitari; arti grafiche ed affini; attività nautiche   e di canottaggio; trasformazione materie plastiche; metallurgia e lavorazione del ferro; centri di affari. Altre associazioni professionali, nate dello sviluppo dell’informatica, sono in corso di adesione. Non fanno parte della FEDEM e sono raggruppate a parte le aziende edili, di costruzioni e lavori pubblici: Chambre Patronale du Bâtiment (301 aziende e quasi 7000 dipendenti e circa un miliardo di giro d’affari complessivi). Comunque fino al 2012 la la Chambre du Bâtiment ha fatto parte della FEDEM. 

Anche in Italia le aziende edili sono a parte e  associate in “Collegi di Costruttori”. La loro associazione nazionale, ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) tuttavia fa parte della Confindustria, pur essendo autonoma.

Problematiche ovvero criticità

Come abbiamo già avuto modo di notare, a Monaco fare l’imprenditore non significa avere vita facile, pur essendo la fiscalità dolce e l’ambiente relativamente favorevole all’impresa. Nel Principato la regolamentazione dei rapporti di lavoro e il peso della burocrazia sono meno opprimenti che in Italia e Francia; le difficoltà dell’impresa sono diverse.

Prima di tutto una cronica carenza di spazio che limita fortemente le possibilità di espansione e l’insediamento di nuove attività;  inoltre  ci sono i problemi dei trasporti, per il grande afflusso di pendolari che ogni giorno ostacola la circolazione spesso intasata per lavori continuamente in corso. L’alto costo degli immobili per abitazione e/o affitto limita l’espansione e rende difficile a volte il reclutamento di personale qualificato, che spesso non è in grado di permettersi di pagare gli affitti elevati delle abitazioni monegasche. 

Negli ultimi  anni la crisi generale a livello planetario  ha colpito anche a Monaco le industrie manifatturiere il cui declino è ritenuto inevitabile ed infatti il numero di operai si è molto ridotto.  Malgrado ciò le imprese di Monaco, nel complesso, hanno aumentato l’occupazione attraverso un ricambio e sostituzione fra operai e tecnici  qualificati. Sfortunatamente non si tratta delle stesse persone e resta il problema di come collocare gli esuberi  eventuali delle aziende manifatturiere.

La fabbrica di cosmetici Coty, sede di Monaco. ©Foto Fashion Network.

Le trattative in corso con l’Unione  Europea sono anch’esse fonte di preoccupazione.

La FEDEM ritiene, a ragione a nostro parere, che il modello Monaco è quello di un successo e che vadano preservati la relativa flessibilità del sistema e la sua specificità. Ma sulla flessibilità i sindacati non sono tanto d’accordo.

I sindacati dei lavoratori

Dal 1944 è attivo a Monaco la USM, Union des Syndicats de Monaco, nato nel secondo dopoguerra durante il periodo di transizione un po’ convulso che ha fatto seguito al ristabilimento della democrazia nel Principato dopo l’occupazione germanica.

Per un breve periodo i comunisti francesi, con alleati monegaschi, hanno esercitato una certa influenza e sono arrivati fino al punto di chiedere l’abolizione del Principato e l’annessione alla Francia.(Vedi Histoire de Monaco, di Thomas Fouilleron a pagina 318). Poi tutto rientrò rapidamente nell’ordine, grazie a De Gaulle, agli americani e soprattutto all’attaccamento dei Monegaschi alla loro Monarchia.

Tuttavia il sindacato si confermò come interlocutore del Padronato e delle istituzioni governative. La USM nasce come affiliata al potente sindacato francese CGT, allora, e ancora, di ispirazione comunista.

La USM aderisce comunque ad un’ideologia di sinistra radicale e  si considera un sindacato di lotta, antagonista nei riguardi del padronato col quale non è possibile alcuna collaborazione in quanto avversario di classe. Ogni accordo eventuale viene considerato una tregua che rispecchia, in un dato momento, il rapporto di forza fra le due classi antagoniste. 

Gli iscritti all’USM sono circa 2.500, su oltre 50.000 salariati del Principato. Da alcuni anni è venuto alla luce un secondo sindacato, la Fédération des Syndicats des Salariés de Monaco, FSSM, che vanta circa 600 aderenti. Questo sindacato si proclama “riformista”.

Entrambe le organizzazioni si ritengono di continuo impegnate nella difesa ad oltranza dell’occupazione e nella richiesta di regolamentare il lavoro ritenuto precario o temporaneo. Comunque l’oggetto maggiore della pressione dei movimenti sindacali riguarda ll superamento dell’art. 6 della Legge n. 729 del 16 marzo 1963 che si occupa di contratti di lavoro, che consente il licenziamento senza motivo. (Le contrat de travail à durée indéterminée – CDI – peut toujours cesser par la volonté de l’une des parties. Il prend fin au terme du préavis).

E gli italiani?

Come abbiamo avuto modo  di parlare in altre occasioni, gli imprenditori italiani di Monaco hanno promosso, dal 2003, l’Associazione degli Imprenditori Italiani del Principato di Monaco : A.I.I.M. (www.aiim-asso.mc). Non si tratta di una associazione che offre servizi: svolge attività culturale, di relazione e di comunicazione a sostegno a tutte le iniziative economiche che interessano gli italiani e l’Italia nel suo complesso, favorendo inoltre interazione e contatti.  Comprende oltre 200 associati ed accoglie  anche professionisti ed aziende non ubicate a Monaco, ma che hanno prospettive di investimento, lavoro ed interessi nel Principato.

La AIIM, aderisce tramite la sua pubblicazione, Monaco Imprese, al SYCOM, Syndicat Monégasque de Professionnels de la Communications, che a sua volta fa parte della FEDEM.

Tuttavia aziende a presenza e direzione italiana sono numerose iscritte alla FEDEM e molti italiani occupano posizioni direttive all’interno di sindacati padronali. Ricordiamo che secondo alcune ricerche le aziende con prevalente capitale italiano rappresentano circa più di un terzo delle attività economiche del Principato.

Nel marzo 2016 è stato firmato, solennemente, un accordo di cooperazione fra il MED ( Monaco Economic Board, già CDE, www.meb.mc) la stessa AIIM e un nuovo soggetto italiano, Sportello Italia, impresa  di servizi finalizzata all’assistenza di aziende italiane  già operanti nel principato o desiderose di installarsi.(www.sportelloitalia.com)

La stampa locale, soprattutto Monaco-Matin (03.03 .2016) ha dato un  certo risalto all’avvenimento per sottolineare il sempre costante sviluppo delle relazioni con l’Italia.

*Il Monegasco, la lingua nazionale

Monaco ha una lingua ufficiale – il francese – e questo fatto è stabilito nella Costituzione (art 9): “La langue française est la langue officielle de l’Etat”.

Fino al 1860 la lingua ufficiale di fatto era stata l’Italiano  anche se non c’era allora una Costituzione che lo stabilisse. Nel 1860  con l’annessione della Contea di Nizza alla Francia, insieme Mentone e Roccabruna, sui quali il principe di Monaco accampava diritti, queste terre diventano parte dell’allora Impero francese e il francese ne è unica lingua ufficiale. L’Italiano continuava a sopravvivere nelle scuole e grazie all’immigrazione di lavoratori  venuti numerosi dal Piemonte e dalla Liguria attratti dalle opere imponenti che avrebbero dato vita a Monte-Carlo.

Tuttavia questi immigrati, che non erano andati a scuola, non parlavano italiano; ma i loro dialetti, liguri o piemontesi, erano molto simili al monegasco, più facile da imparare che il francese. Anche i monegaschi allora fra di loro parlavano il dialetto, l’italiano e il francese era accessibile solo a chi aveva studiato. Così la comunità di parlanti il monegasco si accrebbe grazie all’apporto di nuovi venuti e il massimo di questa espansione si ebbe a cavallo fra il 1800 e il 1900. Nel nuovo comune di Beausoleil, scaturito nel 1904, dalla secessione da La Turbie, divenne la lingua di uso comune.

©Foto: Altritaliani.

Le cose poi cambiarono, Monte-Carlo ebbe un grande sviluppo turistico, urbanistico ed economico, divenne il luogo preferito di villeggiatura delle élite di allora. La popolazione aumentò di molto,  era di 1.200 anime nel 1861 e 15.500 nel 1903. I servizi e le esigenze del pubblico cosmopolita si fecero sempre più raffinati e costosi. La  scolarizzazione di massa e la frequentazione di persone di alto livello sociale e culturale, provenienti da tutta l’Europa, portarono alla veloce introduzione del francese anche come lingua d’uso corrente e popolare.

La pratica del dialetto, che allora non aveva alcuna dignità culturale e veniva considerato un ostacolo sociale a carriere ed impieghi, divenne limitato e si restrinse alla popolazione della Rocca  dove vivevano i monegaschi autentici, avviati a divenire una minoranza nel loro Paese.

Bisogna arrivare agli anni Venti del ‘900 affinché inizi un processo di reazione al declino definitivo della parlata monegasca. Nasce il Comitato nazione della tradizione monegasca (Cumitau Naçiunale de Tradiçiue Munegasche) ed alcuni intellettuali scrivono in monegasco (Louis Notari: “A legenda de Santa Devota”. Santa Devota è la patrona del Principato, l’opera di Notari viene considerata il poema nazionale.

Notari (1879 – 1961) fu il vero artefice della rinascita  della lingua, scrisse pure l’inno nazionale. Ingegnere ed architetto diplomato al Politecnico di Torino, non ricostruì solo la lingua, ma tante parti del Principato e partecipò attivamente alla vita politica. Nel secondo dopoguerra, negli anni Settanta, la lingua monegasca viene introdotta obbligatoriamente nelle scuole del Principato, dove, naturalmente si studia in francese, ma sono obbligatori l’inglese e il monegasco. Sono pure previste altre due lingue straniere, una di queste è di solito l’italiano. A nostro avviso, l’italiano non dovrebbe essere considerata lingua straniera in quanto fa parte del patrimonio storico del Principato, molto vicino alla parlata locale.

Louis Notari, il padre della letteratura in lingua monegasca. ©Foto: Monaco

Il monegasco è pertanto una lingua italica o più esattamente gallo-italica, l’erede della parlata dei genovesi che occuparono la Rocca nel lontano 8 gennaio 1297. La lingua si è preservata fino ad oggi anche se vi sono stati cambiamenti, modifiche e interazioni con le parlate circostanti; nei luoghi vicini non si parlavano dialetti liguri ma provenzali, definiti dai linguisti liguri-provenzali. Simili ma non uguali e non sempre intercomprensibili.

La lingua di Genova ha avuto nei secoli una grande diffusione grazie al dinamismo dei suoi mercanti, banchieri e marinai. In Corsica, in Sardegna vi sono località dove ancora lo si parla. In passato è stato presente in Tunisia, a Gibilterra. Il dialetto di Buenos Aires è stato infarcito di parole liguri. Lo si parla ancora a Genova e in Liguria, ma non possiamo prevedere per quanto tempo ancora.

C’è chi si batte per la sua sopravvivenza, ma solo a Monaco ha acquisito dignità letterarie e uno status di lingua nazionale. Vi sono pure dizionari, grammatiche, fumetti di Tintin, reperibili alla FNAC di Monaco e un libro sul Papa, “Joseph e Chico” ün gato chœnta a vita de Papa Benedetu XVI” pubblicato dalla Liamar Editions Monaco, reperibile presso la casa editrice. 

Lingua italica dunque, l’alfabeto è composto di 23 lettere, le stesse della lingua italiana e non vi sono pertanto le lettere k, w e x. Le vocali si pronunciano come in Italiano quindi la “u” si pronuncia u non ü come in francese. La “e” e la “o” sono in generale più chiuse che aperte. Esiste il suono “û”. I dittonghi si pronunciano come in Italiano, cioè distaccando i suoni delle singole vocali, quindi aiga, che vuol dire acqua, si dice a-i-g-a. Anche le consonanti si leggono come in italiano. C’è qualche problema con la pronuncia della “r” fra due vocali. La pronuncia esatta può essere recepita solo da un monegasco che parli monegasco. La “j” si pronuncia invece come in francese. La “c” ha anche il suono “ç”  vedi  “tradiçiun”. L’accento tonico è di solito sulla penultima sillaba. 

Potete ora leggere correttamente e tranquillamente: “U luvu perde u pûu ma non u viçi”; 

Siccome è facile, non ne diamo la traduzione.

Parlate il francese?

Si, certo. Gli italiani di qui, fra Monte-Carlo, Nizza, Mentone lo parlano, più o meno bene, ma comunque con disinvoltura. Magari con l’accento, ma anche i francesi di qui hanno pure loro “l’accent du sud”:

Siamo in buona compagnia.

Ma forse non conoscete ancora queste parole: è comprensibile, visto che, molte di loro sono nate di recente qui in Francia e legate ai fatti del momento, oppure sono nate qualche anno fa, ma sono poco utilizzate. Le possiamo considerare neologismi. Eccole.

ABSURDISTAN, così la Francia è stata ribattezzata dal periodico tedesco Die Zeit del 12 novembre 2020, al seguito della inchiesta della giornalista Annika Joeres, corrispondente da Parigi.

Ha spiegato  come lo Stato francese fronteggia l’epidemia con provvedimenti assurdi e cervellotici. Il termine è stato ripreso largamente dai media francesi, primo fra tutti Valeurs Actuelles del 26 novembre 2020. ”Dernières nouvelles d’Absurdistan”. Il nostro parere è che se Annika Joeres andasse a Roma troverebbe un altro “Assurdistan”.

BOURREAUCRATE, da non confondersi con “bureaucrate” che vuol dire burocrate. “Bourreau” in francese significa “boia”. Bourreaucrate è una parola coniata da François Huguenin nel suo blog nell’articolo “Le bourreaucrate et la philosophe” (un sentito omaggio ad Hanna Arendt), pubblicato il 4 maggio 2013 per definire il funzionario pubblico degli anni Trenta che usa il potere come un aguzzino per tormentare i cittadini, vittime del totalitarismo nazista. Il termine è tornato alla ribalta con prepotenza questi giorni, per definire i funzionari pubblici che con la loro azione tartassano i cittadini applicando le leggi dello Stato di Absurdistan.

In questo autunno la Francia non è solo tormentata dal Covid come l’Italia, ma anche dal terrorismo islamico. Si parla così, in molti media di ISLAMOGAUCHISME, scritto anche islamo-gauchisme, un neologismo che definisce  il legame fra personalità definite di sinistra o di estrema sinistra e il radicalismo islamico.

Un altro neologismo che ha attirato la nostra attenzione è EUROLÂTRE, il cui significato è: “persona eccessivamente entusiasta, e senza un grande senso critico, per la costruzione europea”.

Il termine è stato usato per la prima volta da Thierry Desjardins nell’articolo ”La solidarité européenne est une imposture” pubblicato su Le Figaro il 17 agosto 2011: “Comunque, qualunque cosa pensino gli eurolâtres, è sempre più evidente che i popoli d’Europa non vogliono la soppressione delle loro nazioni e di questa Europa che si prepara per loro”. 

Più recentemente, il termine “eurolâtre” è stato usato su Le Point a pagina 20 del numero 2522-2523 uscito in edicola il 17 dicembre 2020.

Nella storia delle lingue, i neologismi hanno da sempre costituito un arricchimento del vocabolario e un “allineamento” alle novità, le invenzioni, i concetti che man-mano la civiltà fabbrica.

Nella storia della lingua francese un grande “creatore” di neologismi è stato François Rabelais, autore del meraviglioso “Gargantua et Pantagruel”.

François Rabelais, Gargantua (Lyon: Denis de Harsy, 1537).

Più tardi, nel XX secolo, Frédéric Dard, che scriveva sotto o pseudonimo San Antonio, ne ha creati tanti di neologismi che è stata necessaria la pubblicazione di un Dizionario (Le DicoDard, pubblicato Fleuve Éditions nel 2015) per spiegarne il significato.

Le DicoDard, in vendita su Amazon

Per chiudere in bellezza: in molte lingue, diversi neologismi sono di origine italiana. Sono legati soprattutto all’eno-gastronomia, ma anche alla moda e al calcio.

Chiose sul vino

PROSECCO ROSÉ

L’anno 2019 è stato un anno molto buono per il vino, ma poi è arrivato il Corona virus. Il mercato ne ha risentito, è cambiato, ma non abbiamo ancora le cifre del 2020. L’Italia comunque ha tenuto.

Una notizia interessante è che è nato il prosecco rosato, rosé, come si suol dire. La data ufficiale è il 28 ottobre 2020, quando è uscito sulla Gazzette ufficiale della U.E. il nuovo disciplinare che autorizza il prosecco rosé ; al vitigno bianco tradizionale, Glera, viene consentita l’aggiunta di Pinot Nero nella misura del 15%. C’è stata qualche polemica: questo prodotto non è nella tradizione, il Pinot non è un vitigno italiano, si tratta di una pura operazione commerciale per correre dietro alla moda dei rosé. Tutto, parzialmente, vero. Il Pinot nero comunque si trova in Italia da tempo immemorabile, soprattutto nella parte nord orientale. Le ragioni commerciali sono ovvie, il mercato dei rosé e degli spumanti è in espansione e le prospettivo di questa  nuova bevanda sono incoraggianti, malgrado i tempi difficili, soprattutto in Germania e in Gran Bretagna. Il Prosecco merita per l’occasione come promemoria un piccolo richiamo storico.

Uva Glera. Foto© Tripadvisor.

Per capire di più, riporto qui qualche paragrafo da “La geografia del vino italiano” libro di cui sono autore e che è di prossima pubblicazione.

Provincia di Treviso.

Qui  si trova il Prosecco e su questo vino italiano occorre fare un po’ di storia. Oggi il Prosecco è un vino bianco spumante prodotto nel Veneto e Friuli-Venezia Giulia che ha cominciato a raggiungere una certa notorietà fin dagli anni ’90 come Prosecco IGT ( indicazione geografica tipica). Nel 2009 ha conseguito la denominazione di origine controllata, DOC Prosecco e in seguito, sulla spinta  del sempre più elevato livello di qualità e fama conseguiti, ha raggiunto in alcuni casi la DOCG, in località più circoscritte, come Conegliano e Valdobbiadene. 

Foto © Federdoc.

La storia tuttavia di questo vino viene da lontano e da altrove. Nel ’500 a Trieste, città allora importantissima, porto del Sacro Romano Impero, era fiorente la vino-viticoltura, esercitata all’esterno delle mura cittadine. Venne assegnato il nome di Prosecco ad un vino che anticamente era molto famoso col nome Castellum Nobile Vinum Pucinum. Il Pucinum divenne nel tempo il Prosecco, prendendo il nome della località. La prima citazione è del 1593. Questo vino ebbe successo, veniva fatto con diversi vitigni e nei tempi la produzione da Trieste ed  Istria si sposto’ sempre più in Friuli e nel Veneto. Oggi Prosecco è una frazione, borgo, di Trieste (vuol dire “Bosco Tagliato”) ed è situato a nove  chilometri dal centro e ad un’altitudine di 232 metri sul livello del mare. Anticamente c’erano per l’appunto boschi e viti fra le quali il glera. I boschi furono tagliati per fare posto alle viti. I vari disciplinari hanno stabilito per l’appunto che l’85% delle uve deve provenire dal vitigno Glera e che il nome fa riferimento a quella località: Prosecco in Provincia di Trieste.

Prosecco rosé. Foto© Bottega Spa.

La diffusione nel mondo del Prosecco è stata fulminante e nel 2018 in occasione della cinquantaduesima edizione di Vinitaly a Verona è stata celebrata l’unione di tutti i consorzi che producono questo vino al fine di coordinare gli sforzi per diffonderlo ancora di più. I consorzi sono: Consorzio DOC Prosecco di  nove province del Veneto e del  Friuli-Venezia Giulia (440 milioni di bottiglie prodotte per anno), Consorzio DOCG Conegliano Valdobbiadene, (90milioni di bottiglie in 15 comuni in provincia di Treviso),  e consorzio di Asolo (10 milioni di bottiglie). L’operazione si è chiamata Universo Prosecco. Da allora la produzione è ancora aumentata nel 2019 si hanno le seguenti cifre: DOCG Conegliano Valdobbiadene  92 milioni di bottiglie, DOCG Asolo 12 milioni e doc Treviso 485 milioni.

In futuro ci sarà anche il Rosé.

Foto © Quattrocalici.

L’autore del Blog ringrazia la Federdoc e Quattrocalici per la gentile concessione delle foto.

Notizie dal Principato

AVVICENDAMENTO DEGLI AMBASCIATORI

In ottobre è arrivato il nuovo Ambasciatore italiano nel Principato. Si chiama Giulio Alaimo  ed  in seguito ha presentato le Lettere credenziali al Principe Alberto II. L’incontro ha avuto luogo nel corso di una significativa cerimonia alla quale ha fatto seguito un colloquio privato fra il Sovrano e il diplomatico italiano. Naturalmente sono stati evidenziati gli eccellenti rapporti di collaborazione esistenti fra i due Paesi e le prospettive di un rafforzamento ulteriore.  Alaimo ha poi incontrato, sempre alla presenza del Principe Alberto, il Ministro di Stato Pierre Dartout e gli altri Ministri della compagine governativa monegasca. L’ambasciatore precedente, Cristiano Gallo, è stato nominato ambasciatore in Angola.  Da questa sede gli facciamo tanti auguri. Ricordiamo che il mandato di ogni ambasciatore è a termine, di regola mutano ogni quattro anni.  Gallo ha operato molto bene ed ha svolto la sua funzione sempre in contatto con la operosa comunità italiana presente, più di  8.000 persone,  il 20% della popolazione residente. Oltre a questi ci sono anche  gli oltre 3.000 frontalieri.

Cristiano Gallo, precedente Ambasciatore d’Italia nel Principato di Monaco. Foto© Giornale Diplomatico.

Il nuovo ambasciatore prima di arrivare a Monaco era console generale a Zurigo dove ha operato efficacemente in una realtà molto complessa. Gli italiani  a Zurigo sono oltre 50.000, dove  vi sono  pure tante realtà. Ne elenchiamo alcune oltre naturalmente al Consolato Generale di Zurigo che ha competenza per tutta la Svizzera di lingua tedesca e il Liechtenstein.

L’Ambasciatore Giulio Alaimo con il principe Alberto II.
Foto© Montecarlonews.it

Associazione svizzera per i rapporti economici e culturali con l’Italia; Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (che esiste dal lontano 1909 e svolge un lavoro molto importante per lo sviluppo degli affari fra Italia e Svizzera);  Cattedra de Sanctis del Politecnico federale di Zurigo; Comites; IIC  (Istituto italiano di cultura di Zurigo); Pro Grigioni Italiano; Pro Ticino di Zurigo; Seminario di Romanistica dell’Università di Zurigo; Società Dante Alighieri. Iniziativa culturale recente patrocinato da Consolato Generale e Comites, il 28 ottobre : “Le donne e la politica”, incontro-intervista con la Consigliera agli Stati (componente del Senato svizzero) Marina Carobbio, a cura della giornalista RSI (Radio TV della Svizzera Italiana)  Lida De Bernardi.

CURIOSITÀ / RICORDO INDELEBILE DI MARADONA

A Hollywood esiste una Walk of Fame, mentre a Monaco c’è la The Champions Promenade, situata al Grimaldi Forum, in Boulevard Princesse Grace. Sono simili, solo che la seconda è più piccola, essendo, ovviamente, proporzionale al Paese. Ed è dedicata allo sport, principalmente ai calciatori. Ma forse è un fatto poco conosciuto che il primo ad avere immortalato le sue impronte, il 26 agosto 2003 è stato proprio El Pibe de oro, Diego Armando Maradona, recentemente scomparso. È una ragione di più, soprattutto per gli amanti del calcio e gli ammiratori del leggendario giocatore, di visitare il Principato di Monaco.

Le impronte dei piedi di Maradona sulla Champion’ Promenade. Foto© Liamar Multimedia.

CELEBRAZIONE DI ALBERTO I,  antenato  illustre di Albert II

Alberto I è l’illustre antenato di Alberto secondo. Nato nel 1848, è diventato principe regnante alla morte del padre, Carlo III, colui che fondò Monte-Carlo. Fu un personaggio di grande spessore, chiamato anche, Prince savant e Prince navigateur. Per avere un’idea delle cose straordinarie che ha intrapreso per le scienze del mare, potete fare una visita al bellissimo Musée Océanographique di Monaco, dove diversi spazi gi son dedicati. Non solo, ma molti dei reperti presenti nel Museo sono opera sua, frutto di tante spedizioni scientifiche di cui è stato protagonista. Ed anche nel mio libro, “Monaco, il Principato, par la grâce de Dieu” trovate molte notizie su questo straordinario Monarca, per il quale ho una grande ammirazione.

Alberto I. Foto© Wikimedia Commons.

Regnò fino alla sua morte avvenuta nel 1922. Durante il suo regno successero tante cose, una delle più significative fu il fatto che il Principato di Monaco diventò una monarchia costituzionale, con una Costituzione e un Parlamento.

Nell’autunno 2020 nel Principato è già stato istituito un comitato per celebrare e ricordare il centenario della sua morte.

Cartina di Monaco all’inizio de secolo. Foto© Liamar Multimedia.

CORONAVIRUS

Anche a Monaco l’epidemia ha colpito, ma il Principato si è organizzare per limitare i danni ai suoi cittadini e lavoratori. L’attività economica ne ha risentito e i grandi alberghi sono rimasti tristemente vuoti ed hanno fatto ricorso ad una specie di cassa integrazione, cosa inedita. Ricordiamo che il Principato non ha debiti come gli altri Stati e fa fronte agli impegni scaturiti dall’epidemia con mezzi propri. Il mercato immobiliare, per abitazioni, tiene. Tutto lo lo Stato e le istituzioni si preparano con nuovi investimenti alla ripresa, quando verrà… Speriamo presto!

Il Principato di Monaco. Foto© France Bleu.

Rapporto Italiani nel Mondo

Italiani, quanti siamo?

In data 1° gennaio 2020  la popolazione residente in Italia è di  60.244.639 persone.

Questi non sono tutti italiani in quanto nel nostro Paese ci sono pure 5.306.548 stranieri regolarmente registrati.

Inoltre ci sono gli italiani residenti all’estero, iscritti all’AIRE, Anagrafe degli Italiani residenti all’estero, che sono 5.486.081.

Dati forniti per l’appunto dal RIM, Rapporto  italiani nel mondo 2020.

Gli italiani all’estero sono cresciuti nel corso dell’anno di 198.000 unità mentre sono calati in Italia di 189.000. Nel periodo considerato gli italiani residenti all’ estero sono il nove per cento, rispetto all’insieme di tutti gli italiani.

Questi sono quelli che hanno o possono avere un passaporto, cittadini della Repubblica Italiana.

Tuttavia non tutti gli italiani all’estero si iscrivono  all’ AIRE.

Oltre a questi ci sono i discendenti di quelli che nel corso dai secoli, ma soprattutto dopo  l’unificazione, hanno lasciato l’Italia e altri luoghi dove si parlava Italiano o un dialetto italico.

Questi  sono decine di milioni, circa 200 secondo il movimento “Italici.” Ne parleremo in una altra occasione.

Ritorniamo per il momento al RIM.

Copertina dela RIM 2020. Foto© Fondazione Migrantes.

Il Rapporto raggiunge nel 2020 la sua quindicesima edizione; nel corso degli anni si è via via perfezionato fino a diventare, per chi si interessa di questi problemi,  una vera “ Bibbia”. Mi sia perdonato l’ardire.

L’istituzione che ha promosso questi studi, è la Fondazione Migrantes, organismo pastorale della CEI, Conferenza  Episcopale Italiana. Non a caso la Chiesa cattolica fin da quando iniziarono i tristi esodi dell’Ottocento, ha seguito e confortato gli emigranti italiani nel mondo. Ancora oggi vi sono fuori d’Italia chiese dove il rito è praticato in Italiano. Nel volume vi è uno spazio significativo: Gli italiani in Europa e la Missione cristiana (pag. 515).

In questa edizione si trovano, come nel resto anche nelle altre, tutte le analisi statistiche necessarie per inquadrare il fenomeno nella sua enorme complessità.

Si trova pure, per la prima volta l’esame della mobilità italiana partendo dalle province, ci si indaga da dove esattamente si mossero i primi migranti. 

Si individua il percorso migratorio perfetto; dallo svuotamento di campagne e periferie alla circolazione. La mobilità per molti  è un dramma,” ma di per sè non è dannosa, “ma lo diventa quando è a senso unico”.

Il tema viene sviluppato ampiamente dalla curatrice del volume, Delfina Licata, che col suo talento di ricercatrice impegnata e competente trasforma la montagna di dati e statistiche in un raconto appassionato su gli italiani fuori d’Italia.  

Non vi faremo il riassunto del libro, vogliamo solo suscitare il vostro interesse. Il volume è consultabile on line. www.migrantes.it

Delfina Licata, curatrice del RIM. Foto© We The Italians.

La Francia di Macron /2

Quando è cominciata?

Il secondo tempo ha origine da una rottura (cassure), del quinquennio di Macron, così come definito dal periodico Le Point del 4 novembre 2020.

Qui troviamo la cronaca del giorno senza fine (jour sans fin), il 29 ottobre quando in Parlamento alle ore 9 circa del mattino arriva la notizia di un attentato all’arma bianca in corso a Nizza. Passa  qualche minuto ed arriva un’altra notizia : vittima decapitata.

Emmanuel Macron con la moglie Brigitte. Foto©: Femme Actuelle

Il fatto accade quando il Paese è ancora sotto choc per l’attentato  del 16 ottobre a Confians-Sainte-Honorine dove il professore Samuel Paty, insegnante di scuola viene ucciso, decapitato, da un terrorista islamico.

Fra i primi a raccogliere la notizia è il deputato LR Eric Ciotti, eletto  a Nizza.

Un altro deputato, LREM, dirà in seguito che ha vissuto il giorno più nero del quinquennio (Stanislas Guerini,”j’ai vécu le jour le plus noir du quinquennat”, pag. 64 del numero 2515 di Le Point del 4 novembre).

Eric Ciotti. Foto Wikipedia.

Intervistato l’On. Ciotti dichiara, fra altre cose:

 “ … Il difetto (la faille) sta nell’ingenuità del nostro Paese che accoglie due milioni di immigrati regolari in 5 anni sotto Emmanuel Macron. Ci viene detto della lotta al separatismo. Ma se non fermiamo i flussi migratori non fermeremo il comunitarismo.

Il presidente non ha la volontà politica di lottare contro l’islamismo radicale: Emmanuel Macron trova il tempo per commentare la situazione politica libanese ma rifiuta di reagire all’attacco islamista davanti alla sede dell’ex Charlie Hebdo!”

Non osa nemmeno menzionare il termine islamismo radicale: “Parlando di separatismo, il presidente Macron si rifiuta di dire che il problema è l’islamismo! È l’islamismo che ci sta attaccando, è l’islamismo che dobbiamo combattere, che dobbiamo distruggere! ….

Anche la politica penale deve essere ferma: uno straniero condannato in Francia che viola il patto repubblicano, che viola l’asilo, (le leggi che regolano in Francia il diritto all’asilo politico)  deve essere espulso! 

Foto© immezcla.it

Inoltre, tra il 2018 e il 2020, 2.260 islamisti sono usciti dalle nostre prigioni! Riformiamo la Costituzione per consentire una detenzione sicura contro questi islamisti che escono di prigione. Proteggiamo i francesi! “

In ottobre sono successe  tante cose, come il nuovo manifestarsi del terrorismo islamico, sempre latente, ma che è scoppiato con grande virulenza sullo sfondo del processo in corso sugli attentati del 2015, commessi contro Charlie Hebdo, il famoso periodico francese laico, satirico e irriverente, soprattutto verso Maometto.

Ne sono state evocate le caricature, ma in Francia si conferma la cultura laica, con essa la libertà di stampa e di parola e la possibilità di criticare e ridicolizzare anche il profeta.

Mancare di rispetto al profeta è una bestemmia, un crimine per l’Islam, la Charia non lo permette; ma la Francia non è uno Stato laico? Per molti musulmani tuttavia la Charia prevale sulle leggi della Repubblica, le leggi le fa Dio, non le fanno gli uomini…..

(Charia in arabo vuol dire cammino per rispettare la legge di Dio).

La flagellazione pubblica: punizione corporale frequente nella Charia. Foto© imtl.com

Ricordiamo ai  lettori che La Francia è l’unico paese della U.E. con una  popolazione di immigrati di origine prevalentemente africana o magrebina molto numerosa, e che professa la religione musulmana.

Parte  di questa popolazione è giovane o di recente immigrazione, composta da elementi indigenti o non qualificati, disoccupati per il 30 o 40%.

Vivono in ghetti ubicati in squallide periferie che sono diventati luoghi di traffico di droga e criminalità incontrollata con una polizia assente, poco attrezzata e scarsamente motivata.

Il sistema giudiziario francese, secondo molte autorevoli opinioni, è uno dei più permissivi e le sanzioni sono insufficienti, spesso non applicate e con condizioni di detenzione deplorevoli che aumentano il rischio di recidive successive.

Gli atti di rivolte e di ribellione sono frequenti. Molti osservatori paventano una eventuale guerra civile. Al momento  tuttavia, non siamo a questo punto perché la maggioranza dei francesi e una parte rilevante degli stessi immigrati più consapevoli si oppongono a  comportamenti  delinquenziali.

La tragedia è che una minoranza di sinistra francese “benpensante” sosterrà sistematicamente i delinquenti contro la polizia, giustificando il loro comportamento e mettendo in dubbio l’integrità delle forze dell’ordine.

Donne musulmane velate. Foto© Cristiano Magdi Allam.

Secondo un sondaggio Ifop (Institut français d’opinion publique) del 2019 – riportato da diverse fonti di stampa francese – il 37% dei musulmani ritiene che spetti al secolarismo francese adattarsi alla pratica dell’Islam e il 27% pensa addirittura che la Charia, la legge islamica, dovrebbe prevalere sulle leggi della Repubblica.

Il porto del velo è al centro di queste preoccupazioni, un vistoso simbolo religioso; il 68% dei praticanti crede che una ragazza dovrebbe avere il diritto di indossarlo a scuola, dove è proibito. E il 59% considera la legge contro il porto del velo totale come una cosa negativa. Dati che riflettono un rifiuto dell’integrazione e un rifiuto del modello francese. Sono quindi il 40% a anteporre le proprie convinzioni ai valori della Repubblica, e il 74% tra gli under 25. Un’incompatibilità dell’Islam con i valori della società francese considerata ovvia dal 29% dei praticanti e dal 45% dei giovani.

In nessun’altra parte del mondo si vedono immigrati di prima o seconda generazione che attaccano una stazione di polizia con il mortaio, che ricevano gli applausi di una sinistra/sinistra sempre più radicale, complice e compiacente. I fatti sono successi a Champigny-sur-Marne, il 10 ottobre 2020.

Questo è quello che ha detto il primo ministro domenica il primo novembre 2020 su TFI e ripreso dalla stampa.

A seguito dei fatti di terrorismo prima a Confians-Sainte-Honorine e poi a Nizza, Jean Castex ha denunciato i compromessi con l’islamismo radicale sedimentati per troppi anni prima del suo arrivo e chiede alla comunità nazionale di essere unita e forte nei suoi valori per portare avanti la lotta ideologica contro questo nemico. Dice testualmente: “Sì, questa lotta è ideologica, il nemico cerca di dividerci diffondendo l’odio e la violenza, per spezzare la comunità nazionale. Voglio qui denunciare tutti i compromessi che ci sono stati, i tentativi di giustificare questo islamismo radicale, la pretesa che noi francesi dovessimo auto-flagellarci per le nostre colpe, pentirsi per il colonialismo, e che altro ancora?

Jean Castex. Foto Wikipedia.

“Siamo in guerra e per vincerla la comunità nazionale sia solidale, sia unita, fiera delle proprie radici, della nostra identità, della nostra Repubblica, della nostra libertà: dobbiamo vincere. Queste lassismo deve finire.

Non più compiacimento di intellettuali, di partiti politici. Dobbiamo stare uniti sulla base dei nostri valori, della nostra storia”.

Sul piano delle risposte operative e repressive ha sottolineato lo scioglimento prossimo di associazioni islamiche. Continuiamo la lettura in francese.

 «Il faut attaquer le mal à la racine, (…) ils s’attaquent à des associations paravents, à des fausses mosquées, ils forment des écoles clandestines, ils utilisent les réseaux sociaux, tout cela est au coeur de notre stratégie».

«Les écoles clandestines, nous en fermons, nous allons continuer à en fermer; les fausses associations qui font du lavage de cerveau, nous allons les dissoudre (…), nous en avons fermées deux et nous allons continuer»,  «Nous devons impérativement renforcer notre législation, surtout le moyen d’action pour faire face à la haine sur les réseaux sociaux».

Il Figaro Magazine del 6 novembre 2020 titolava: “Immigration: la fin d’un tabou”.

Da questo momento si potrà associare frontiere ed immigrazione quando si deve discutere, ad ogni livello, sulle cause del terrorismo e per dare risposte agli attacchi islamisti.

Per la battaglia contro il separatismo (islamista)  è  ora prevista una legge ad hoc, di prossima presentazione in Parlamento. Ma avrà Macron il coraggio di andare fino a fondo?

Tutto questo succede mentre in Francia imperversa il Corona virus.

Macron e il governo sono criticati da ogni parte per le misure adottate e non si sa ancora come si passerà il Natale.

Un altro fatto ancora sconvolge l’opinione pubblica francese.

Nella serata del 21 dicembre la polizia interviene negli studi del produttore rap Michel Zecler che viene malmenato e insultato da 4 agenti.

L’ episodio viene, all’insaputa dei poliziotti, registrato e diffuso.

Poliziotti francesi in assetto di anti-sommossa. Foto© DH.be

La Francia vede e freme di indignazione.

Prima ancora tuttavia  di conoscere a fondo i fatti gran parte dell’opinione pubblica ha già condannato i quattro poliziotti.

Pochi giorni dopo, tuttavia, la verità sembra più sfumata di quanto non sembri.

Il settimanale Valeurs Actuelles (VA) mette sulla copertina del suo numero del 3 dicembre 2020, invece di un titolo, una sequenza di frasi che illustrano alla perfezione la situazione:

“Agressés, insultés, abandonnés…”

“Héroïque comme un flic [poliziotto, nda] en France.

“Violences anti-policières, propagande d’extreme gauche, lâchetés politiques: la vérité sur une trahison”.

La legge in corso di esame in Parlamento che, fra altre cose avrebbe dovuto limitare la diffusione di immagini sugli interventi della polizia, viene messa in discussione.

Come andrà a finire?

Anche i grandi sbagliano

Il Principato sul Corriere della Sera.

Nell’edizione del 10 novembre 2020 del Corriere della Sera si legge un articolo sul Principato di Monaco.

Il pezzo, a pagina 11 (edizione on-line), è di piacevole lettura, l’autore, Stefano Montefiori, è un corrispondente del giornale da… Parigi.

Di solito leggo quello che scrive sulla Francia e Parigi: è un bravissimo giornalista che si documenta e conosce la realtà francese.

Tuttavia mi aspettavo una maggiore accuratezza dal Corriere della Sera: Monte-Carlo si scrive così, in due parole divise da un trattino, non Montecarlo (quest’ultimo è un comune italiano in provincia di Lucca, di circa 4000 abitanti). Per tutto l’articolo viene usato il termine “Montecarlo”.

Il nome è importante quando si designa un luogo o una persona; è imperativo scriverlo e pronunciarlo correttamente, soprattutto se connesso all’identità, alla storia del denominato.

Principe Carlo III.

Monte-Carlo si chiama così perché il principe Carlo III (1818-1889), negli anni ’60 del 1800 scelse questo nome (il suo) per designare il nuovo quartiere da edificare sulle colline (“Monte”) piene di grotte (chiamate “Spélugues”).

Li  dovevano sorgere il Casinò e gli alberghi di lusso destinati ad accogliere la ricca e aristocratica clientela internazionale.

Quindi Monte-Carlo non “Mont-Charles” perché allora la lingua ufficiale era l’Italiano.

Inoltre fare riferimenti storici senza contestualizzare può essere fuorviante.

Vero è che la Francia ha riconosciuto Monaco nel 1489, ma a quell’epoca non era un “enclave”  in Francia.

Carta che raffigura l’Italia e Monaco nel 1495 , con Monaco enclave di Genova a ridosso della contea di Nizza, Savoia. La Francia è lontana;

Era uno Stato piccolo, ma di una certa dimensione, includeva Roccabruna, Mentone ed un vasto retroterra; era uno Stato cuscinetto fra il Ducato di Savoia e la repubblica di Genova. La protezione della Francia permise a Monaco di sopravvivere e di evitare l’annessione  da parte dei suoi vicini.

Parlando di oggi, dal tono dell’articolo sembra che Monaco non abbia gli inconvenienti del lockdown e che si può licenziare senza motivo. In verità le regole e i comportamenti sono solo di poco diversi da quelli della Francia.

La legge che permette la risoluzione unilaterale del contratto di lavoro senza specificarne il motivo, è stata sospesa fin quanto durerà l’emergenza sanitaria.

Le varie centinaia di persone che hanno perso il lavoro a causa della chiusura delle aziende godono di una specie di cassa integrazione che qui a Monaco si chiama “indemnitè de chômage” (80% del salario netto), che può essere “total, temporaire, renforcè” (cioè indennità di disoccupazione totale, temporanea, o  rinforzata).

Secondo gli ultimi censimenti a Monaco sono residenti quasi 40.000 persone e vi lavorano circa 53.000 salariati.

In gran parte si tratta di pendolari francesi, ma vi sono pure quasi 4.000 italiani.

Cantiere della costruzione della nuova penisola all’Anse du Portier.

Eric Zemmour lo conoscete?

Eric Zemmour è un giornalista e saggista francese, ebreo di origine algerina, nato a Montreuil, in Francia nel 1958.

Scrive su Le Figaro, grande quotidiano francese di orientamento conservatore.

Nel suo  libro “Le Suicide Français”, si schiera apertamente contro l’immigrazione, il multiculturalismo e la globalizzazione della società francese. 

Avversa l’egemonia culturale della sinistra, cominciata nel Sessantotto, sostenendo che “l’ideologia antirazzista e multiculturale della globalizzazione sarà per il Ventunesimo secolo quello che il nazionalismo è stato per il Diciannovesimo e il totalitarismo per il Ventesimo: una fede messianica e guerrafondaia nel progresso, che trasforma il conflitto tra nazioni in un conflitto all’interno delle nazioni”.

È diventato molto popolare da quando dal 2019 è ospite permanente alla trasmissione del giornale televisivo delle ore 19 di CNews, che da quando c’è lui a quell’ora è la più seguita di tutte in Francia. 

Da questo pulpito critica il sistema francese, senza alcuna concessione al politicamente corretto. Non ha alcun timore reverenziale verso la “casta”, diremmo noi italiani, l’èlite politico-mediatica, che a suo dire limita la libertà di espressione ed impedisce di chiamare le cose col loro vero nome.

In una lunga intervista su Valeurs Actuelles, il  giornalista che lo intervistava, ha chiesto ad un certo punto che cosa farebbe se fosse al potere, se fosse lui il Presidente.

Zemmour si  schernisce, ma poi aggiunge che tante sono le rotture necessarie nell’attuale sistema, per operare i cambiamenti da fare immediatamente. Dice testualmente “…ma se acconsento a fare questo gioco (cioè far finta di essere il presidente), direi che la prima rottura  riguarderebbe ovviamente la politica dell’immigrazione in senso lato, poiché penso che sia la questione essenziale, anche esistenziale. Gli immigrati non avrebbero più il diritto di decidere sulla politica di immigrazione in Francia. Questo fatto avrebbe molte conseguenze. Aboliremmo il ricongiungimento familiare; il matrimonio con uno straniero – 90.000 all’anno – non permetterebbe più il suo arrivo in Francia o la sua naturalizzazione automatica dopo due anni; decideremmo che gli studenti stranieri devono pagare di più e che possiamo sceglierli, che il diritto di asilo sarebbe sospeso o non potrebbe essere richiesto in Francia, ma nei consolati all’estero, che il diritto del suolo (ius solis) sarebbe abolito, che gli assegni familiari non sarebbero più corrisposti agli stranieri. Verrebbero mantenute le misure assicurative (sicurezza sociale, ecc.), Ma le misure di solidarietà nazionale sarebbero riservate ai cittadini francesi. Espelleremmo i delinquenti stranieri, elimineremmo la doppia nazionalità per i non europei e estenderemmo i casi di decadenza della cittadinanza … Insomma, torniamo a quanto si faceva in Francia fino agli anni Settanta”.

Il giornalista obbietta:

“Lei sta parlando di quelli che stanno arrivando adesso. Ma cosa fare per chi c’è già, francese, e chi non si integra?”

“L’ho detto: espulsione di tutti i delinquenti stranieri, privazione della nazionalità in caso di reato grave, chiusura di tutte le moschee salafite o moschee detenute dai Fratelli Musulmani, divieto di tutte le associazioni straniere come avveniva prima, abolizione del diritto di ricorso in giudizio delle associazioni (abolizione della legge Pleven), abolizione di tutte le sovvenzioni alle associazioni per la difesa degli stranieri, ripristino della legge sui nomi francesi… Molte sono le misure da prendere. E lì, c è una rottura. Si tratta semplicemente di ristabilire la Francia degli anni Sessanta. Inoltre, se la questione dell’identità è essenziale, non è l’unica. Dovremmo sviluppare una vera politica industriale e ripristinare anche un’istruzione pubblica degna di quello che era, perché penso che uno dei nostri problemi fondamentali sia il crollo del nostro livello di istruzione. Uso apposta la parola istruzione per sfuggire alle derive ideologiche dell’educazione nazionale. Queste le 4 ‘i’ : immigrazione, Islam, industria, istruzione”.

Nel frattempo una nuova condanna.

Venerdì 25 settembre, il polemista è stato multato di 10.000 euro per insulto e incitamento all’odio dopo una violenta diatriba su Islam e immigrazione nel settembre 2019 durante una manifestazione politica a Parigi, Il tribunale di Parigi lo ha condannato per i commenti fatti il 28 settembre 2019, in apertura di un incontro chiamato “Convenzione di destra” e organizzato  e promosso da Marion Marechal, ex deputata e nipote di Marine Le Pen, ora direttrice di una scuola  di scienze politiche da lai stessa fondata.

Una nuova polemica è scoppiata  e si prevedono nuove incriminazioni per il nostro giornalista.

Mercoledì 30 settembre, Eric Zemmour,  invitato a discutere sul set di CNews sui giovani immigrati, afferma esplicitamente: “Non hanno niente da fare qui, sono ladri, sono assassini, sono stupratori, ecco tutto. Devono essere rimandati indietro ”. La conduttrice della trasmissione  Christine Kelly è intervenuta e gli ha fatto notare che “tutti i minori non accompagnati non sono necessariamente stupratori”. Il giornalista ha replicato: “Tutti i minori non accompagnati non sono stupratori, ladri, hai ragione, ma la responsabilità della Francia e del governo è di non correre il rischio. Finché ce n’è uno, non dobbiamo lasciarli entrare. Perché è uno stupratore, un ladro, un potenziale assassino che perseguita i francesi. La responsabilità del governo non è l’umanesimo per gli stranieri, è la protezione dei francesi.”

Sì, sono affermazioni molto forti per le nostre orecchie vellutate dal politicamente corretto: tuttavia i fatti hanno dato drammaticamente ragione a Zemmour. Quanto è successo nel corso del mese di ottobre ne è la prova.

Dovrà subire ancora processi?