Sola andata

Delfina Licata, che recentemente ha partecipato al Convegno “Italia Eterna” promosso da Alter Italia, è l’anima di uno strumento essenziale per l’analisi dell’emigrazione italiana all’estero: si tratta del “Rapporto Italiani nel Mondo” (RIM) di Fondazione Migrantes, giunto quest’anno alla diciassettesima edizione.

Delfina Licata

La presentazione della nuova edizione del RIM a Roma ha rappresentato anche l’occasione per fare il punto su una situazione a dir poco senza precedenti: dal 2006 ad oggi la presenza all’estero è progressivamente cresciuta, superando i 5,8 milioni.

Il “Rapporto” porta alla luce un fatto curioso: sono più i connazionali fuori dai confini che gli stranieri residenti in Italia.

Oggi gli italiani risultano residenti in ogni luogo del mondo e ogni singolo territorio italiano ha visto in passato, e continua a vedere oggi, gli italiani partire, a volte definitivamente. 

Il profilo di questa massa di popolazione è complesso e molto vario: sono giovani, giovani adulti, adulti maturi, anziani o minori. Oltre 2,7 milioni sono partiti dal Meridione; più di 2,1 milioni sono partiti dal Nord Italia e il 15,7% è, invece, originario del Centro Italia. Il 54,9% degli italiani sono in Europa, il 39,8% in America, soprattutto centrale e meridionale.

Come vediamo, più della metà degli italiani che emigrano scelgono i Paesi europei.

Ma non è un fatto nuovo: già nel Cinquecento l’Europa è il continente più gettonato delle masse migratorie, che intrecciando rapporti di vario tipo con i governi e le popolazioni locali. Se durante i primi secoli a lasciare l’Itala sono avventurieri e conquistatori, si stabilizzerà ben presto quello che le scienze storiche e sociali hanno battezzato il modello delle tre M: mercanti, missionari e militari.

Ma torniamo ai nostri giorni: coloro che emigrano sono italiani che restituiscono un volto ancora più composito del nostro Paese rendendolo interculturale e sempre più transnazionale, composto cioè da italiani che hanno origini diverse (nati e/o cresciuti in paesi lontani dall’Italia o nati in Italia in famiglie arrivate da luoghi lontani) e che si muovono con agilità tra (almeno) due paesi, parlando più lingue e abitando più culture.

Secondo l’approfondita analisi che Delfina Licata fa della situazione, risulta che il PNRR (cioè il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato nel 2021 dall’Italia per rilanciarne l’economia dopo la pandemia di COVID-19, al fine di permettere lo sviluppo verde e digitale del Paese) “potrebbe essere lo strumento pensato per invertire il flusso del 42% di giovani tra i 18 e i 34 anni che lasciano l’Italia in maniera inesorabile”, ma a patto che non sia solamente “la defiscalizzazione il motivo attrattivo, ma un discorso più ampio di vita, di possibilità di essere assunto, di modalità di lavoro sperimentata agevolmente all’estero, ma non Italia”.

L’Italia in un anno ha perso quindi lo 0,5% della sua popolazione residente, mentre vi è stato un aumento del 2,7% degli italiani residenti all’estero. Circa i Paesi di destinazione, i dati ci dicono che sono soprattutto quelli europei a essere maggiormente attrattivi, perché è all’interno del vecchio continente che si trasferisce il 78,6% degli emigrati italiani, mentre le Americhe (principalmente quella Latina) sono la meta del 14,7% e Asia, Africa e Oceania ne assorbono il 6,7%.

L’AIRE è un buon strumento per monitorare la presenza italiana all’estero e ci permette di fare delle scoperte interessanti: mentre non è affatto curioso imparare che il Paese con il più alto numero di iscritti all’AIRE è l’Argentina (691.841) e che le Isole Cook hanno il minor numero di iscritti (1), è stupefacente leggere che un territorio minuscolo come quello de Principato di Monaco (il secondo più piccolo Paese al mondo dopo il Vaticano) ospita ben 6.803 connazionali iscritti all’AIRE.

Raffaello Gambogi (1874-1943) – Gli emigranti (1894), olio su tela.
Museo Civico Giovanni Fattori, Livorno

Lo studio ci fornisce anche le aree di provenienza dei migranti italiani: è il Sud a pagare il maggior tributo (47%), seguito dal Nord (37%), anche se le due regioni che vedono più partenze sono Lombardia e Veneto, spesso con persone che già erano migrate dal Mezzogiorno; fanalino di coda il Centro (16%).

Delfina Licata puntualizza: “Il problema è l’ignoranza di fondo di quello che è il nostro Paese, dove si sottolineano problemi che non esistono, mentre le complessità esistenti si nascondono sotto un pugno di sabbia. Da sempre siamo un popolo che emigra, fa parte del DNA del nostro Paese, ma, nonostante ciò, ancora parliamo degli arrivi in Italia come di un fenomeno straordinario”.

C’è quindi chi “fa leva su una strumentalizzazione di parti di verità e quindi lo scopo dei progetti di Migrantes è la conoscenza effettiva dei fenomeni “che deve essere insegnata anche alle scuole con numeri certi e in una lettura europea e internazionale. Una conoscenza vera, giusta, non strumentale per sapere cosa fare”, anche per invertire l’attuale curva demografica discendente, “per evitare che in un’Italia così invecchiata il futuro sia privo di forza vitale: ora è il momento del fare”.  

Emigrazione italiana per regione tra il 1876 e il 1915.

Se guardiamo indietro, vediamo che l’emigrazione è un fenomeno che ha radici antiche.

“La scelta di partire non è tanto la disoccupazione o la ricerca di un’adeguata retribuzione – aggiunge -, ma quella più grande di realizzazione delle nuove generazione, l’idea di un mondo considerato come spazio più ampio di protagonismo. La mobilità fa parte del percorso di vita, ma bisogna essere liberi di mettere a frutto quegli elementi che arricchiscono il bagaglio umano o professionale in favore dei luoghi per i quali si sente una maggiore affinità, siano un Paese altro, il proprio, il paesino o il borgo di nascita. È poi necessario un riconoscimento del percorso migratorio per chi lo sperimenta. Ora invece chi sceglie di tornare non è valorizzato, quel periodo passato in mobilità deve essere considerato un valore aggiunto”.