Qual’è il colore che il fisco italiano attribuisce al Principato di Monaco? Un po’ bianco, un po’ nero: in sintesi grigio

Pubblichiamo uno scritto del Dott. Crosti, consulente finanziario milanese, specialista in questioni monegasche (dr.crosti@libero.it)

Il Principato di Monaco riesce in una impresa non facile; da un lato a tenere molto bassa la tassazione dei suoi cittadini residenti, dall’ altro a dare agli stessi dei servizi sociali di primo ordine, obbiettivi che spesso sono difficilmente conciliabili, basterebbe considerare l’ Italia, ma anche la Francia.

Conosco l’obiezione che potrebbe essere mossa a questa constatazione: il Principato è un “mini” Stato e quindi non può essere comparato a Stati quali per l’ appunto l’Italia o la Francia la cui struttura economica e sociale, basterebbe pensare al flusso migratorio in entrata, è completamente differente.

Tutto corretto, sono situazioni non comparabili, però mi sorge spontanea una domanda: per quale motivo uno Stato che riduce od in alcuni casi annulla la tassazione delle persone fisiche, pur rispettando i requisiti di trasparenza , deve essere necessariamente visto in modo negativo, come uno Stato o Paese “black”? E se invece fossero i comportamenti di altri Stati ad essere criticabili in quanto incapaci di controllare sia il volume della spesa pubblica, di difficile gestione, sia soprattutto la qualità della stessa ? Ogni riferimento alla bella “penisola ” è puramente casuale, così come è ovviamente casuale il riferimento ai “navigators” !

Foto © El Watan.

Ciò che stride è proprio come il secondo Stato, un po’ spendaccione, giudica il primo Stato, che evidentemente si gestisce meglio, qualificandolo , e trattandolo ancora per alcuni aspetti, come “black”, qualifica questa che comporta all’ atto pratico tutta una serie di conseguenze non di poco conto.

Eviterò di tediare il lettore  esponendo il percorso normativo in un dedalo di norme che occorre intraprendere al fine di pervenire a capire quale sia la precisa collocazione del Principato, nella pagella dei Paesi virtuosi che hanno rapporti con l’ Italia. Occorre dire che però il Principato, in questa collocazione, è in buona compagnia con la Repubblica Elvetica, quindi si potrebbe dire “mal comune, mezzo gaudio”! 

Il riferimento normativo è al  Decreto Ministeriale (D.M.) del 4 maggio 1999, il quale indica la lista degli Stati attualmente ritenuti come privilegiati ai fini dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF), lista nella quale sono per l’ appunto inclusi sia la Svizzera sia il Principato. Deve fare riflettere la circostanza che il Decreto in questione sia stato emesso ben 22 anni fa, in un contesto storico completamente differente; forse sarebbe caso di prendere atto che molto acqua è passata sotto i ponti!

Foto © Infodifesa.

Monaco ha intrapreso un percorso verso la trasparenza che ha convinto l’ Unione europea ad annoverarla tra gli Stati “white”, basterebbe pensare agli accordi stipulati per lo scambio automatico delle informazioni aventi rilevanza ai fini fiscali, ciò che rende Monaco, al pari della Svizzera, un Paese collaborativo.

Difatti entrambi gli Stati sono presenti nella lista di cui al Decreto del 17 gennaio 2017 in virtù del quale sono qualificati come “collaborativi”, avendo aderito allo scambio di informazioni a partire dal 2018 (con riferimento all’anno fiscale 2017).

Tale qualifica sembrerebbe “stridere” con quanto è stato analizzato in precedenza in relazione alle persone fisiche, dato che da un lato Monaco è “collaborativo” , dall’ altro però è ancora “black” per via della sua fiscalità, particolarmente attrattiva.

Da quanto precede emerge una situazione di evidente incoerenza e di palese discriminazione dei soggetti che intrattengono rapporti con il Principato in quanto oramai è assodato a livello internazionale che il Principato ha acquisito legittimamente la qualifica di uno Stato trasparente,

 Per quanto invece concerne la discriminazione basterebbe ricordare ad esempio che la mancata indicazione da parte delle persone fisiche di attivi detenuti nel Principato nel “famigerato” quadro RW , finalizzato al monitoraggio degli attivi detenuti all’ estero da soggetti persone fisiche residenti in Italia , ed allegato alla dichiarazione annuale dei redditi, è assoggettata ad un regine sanzionatorio molto più oneroso rispetto al regime applicabile ad esempio per gli attivi non dichiarati detenuti in Francia, oppure che i termini di prescrizione per una azione di accertamento da parte della Amministrazione italiana sono raddoppiati rispetto ai normali termini. A quanto precede aggiungasi anche che un attivo detenuto nel Principato e non dichiarato in modo corretto fa scattare la presunzione che l’ attivo in questione sia stato costituito con fondi sottratti alla tassazione, presunzione non applicabile ad esempio ad una analoga situazione con la Francia .

Foto © Gold Avenue.

Quoi faire” ?

La Svizzera, che si trova nella stessa precisa situazione, sta facendo pressioni sull’Italia affinché la situazione descritta possa venire modificata eliminando la Repubblica elvetica dall’ elenco citato all’ inizio.

 Su questo argomento il Consiglio nazionale  svizzero ha chiesto al governo di Berna di attivarsi presso l’ Italia. Non sono al corrente di iniziative intraprese in questo senso dalle Autorità del Principato, iniziative che potrebbero eliminare finalmente la qualifica di”black” attribuita al Principato, colore che non si giustifica per il solo fatto che il Principato in modo virtuoso non tassa i suoi cittadini! Ma siamo certi che è proprio un comportamento negativo da censurare?  

Evangelizzare in nome della pasta

La pandemia di Covid ha rimodellato drammaticamente i consumi e le abitudini alimentari. Mai come in questo periodo Amazon ha venduto ricettari sul pane, persone che non sapevano nemmeno fare un caffè sono diventate cuochi provetti, piatti che sembravano complicati sono diventati preparazioni di tutti i giorni.

Alla preparazione del cibo viene dedicata la gran parte del tempo libero delle persone costrette a passare la vita in casa: esigenza di sopravvivenza, alternativa ai ristoranti chiusi o semplice passatempo? Comunque fosse, i fatti sono lì. A questa domanda le aziende rispondono in vari modi: take away, piatti pronti, lezioni di cucina on line ecc.

Ma c’è un’azienda sorprendente, creata da un italiano (Alessandro Savelli, di origine genovese) che ha scelto Londra – dapprima lavorando nel settore bancario – per lanciare la sua idea. Che consiste in: “non dare ad un affamato un pesce, ma insegnagli a pescare”. Detto-fatto. Savelli ha inventato un concetto: il kit di pasta fresca. Nella scatola ci sono gli ingredienti e la ricetta per confezionare da soli in pochi minuti una miriade di paste fresche una migliore dell’altra. All’inizio era un’attività artigianale, per poi arrivare, dopo un anno di attività, a distribuito un milione di kit, tutto spedito per posta: tempo di consegna, un giorno.

La start-up ha attirato l’attenzione di un colosso come Barilla, che ha sborsato 40 milioni di euro per acquistarla. E Alessandro è rimasto a dirigerla.

È ora di dare un volto al nome: Alessandro Savelli, in un’intervista rilasciata allo strepitoso blog “Forward Fooding” racconta la storia dell’azienda da lui fondata, Pasta Evangelists (al plurale, perché Alessandro ha un socio, Chris Rennoldson).

Nell’intervista Alessandro spiega come ha iniziato l’azienda e esprime le sue opinioni sul ruolo della tecnologia nell’innovazione alimentare. 

Alessandro, da dove nasce l’idea per la tua azienda FoodTech?

Alessandro: Quando sono arrivato nel Regno Unito, sono rimasto incredibilmente deluso dalle scelte di pasta disponibili – sia in termini di scarsità di pasta fresca, sia per la quantità di pasta fatta a macchina disponibile che era, francamente, un mondo lontano da la pasta con cui sono cresciuto in Liguria. Mi rattristava il fatto che le persone fossero diventate compiacenti delle limitate opzioni disponibili e volevo che gli altri sperimentassero la pasta fresca, proprio come la pasta fatta a mano che ero abituato a fare, fin da bambino, con mia nonna. La pasta è molto più di un ottimo prodotto da degustazione: è un mestiere, richiede abilità e maestria, e noi cerchiamo di insegnarlo attraverso i nostri piatti artigianali. Vogliamo aprire le menti delle persone alla miriade di formati e tipi di pasta in tutte le regioni italiane: come degli evangelisti, appunto. Quando un cliente ordina da noi, lo portiamo in viaggio, trasportandolo in Italia, fornendo una storia delle origini di ogni piatto nella nostra brochure del menu e, spero, entusiasmandolo per l’ottima cucina italiana autentica!

In che modo la tecnologia è al centro della vostra attività?

Alessandro: La tecnologia è alla base del nostro intero modello di business. In qualità di azienda di e-commerce, la tecnologia è un fattore abilitante per noi poiché trasforma il modo in cui i consumatori interagiscono con noi, permettendoci di aprire i punti di contatto che possiamo avere con i nostri clienti. È anche fondamentale per alimentare la nostra crescita a causa dei modi in cui ci consente di comprendere meglio i nostri clienti, consentendo una maggiore personalizzazione e servizio, garantendo così che la loro esperienza con noi sia il più semplice possibile. Essere un’azienda tecnologica è davvero entusiasmante per noi perché è in continua evoluzione e, di conseguenza, ci adattiamo e cambiamo continuamente in linea con ciò che vogliono i nostri clienti!

Perché pensi che sia importante vedere l’industria alimentare abbracciare la tecnologia?

Alessandro: Credo fermamente che abbracciare la tecnologia sia fondamentale per una crescita sostenibile a lungo termine per le aziende dell’industria alimentare. È davvero trasformativo. Non solo in termini di utilizzo nello sviluppo della lavorazione e dell’imballaggio e di efficienze complessive di produzione come il controllo degli sprechi, ma anche nell’esperienza di consumo generale. I gusti e le abitudini di consumo dei consumatori sono in continua evoluzione: con un valore crescente attribuito al tempo e alla convenienza, il modo in cui i consumatori acquistano e mangiano sta cambiando. Consentire ai clienti di ordinare con rapidità e facilità, oltre ad offrire maggiori scelte personalizzate facilitate dalla tecnologia è fondamentale. La tecnologia consente alle aziende che operano nel settore alimentare di rispondere a queste mutevoli esigenze e non riuscire ad adattarsi in linea con tali cambiamenti è in definitiva dannoso per la longevità aziendale. 

Certo, i “puristi” fuori dal tempo diranno che la pasta è buona solo se fatta dalla nonna e il vino fatto di uve spremute con i piedi dal nonno.

M il concetto di Savelli, anche se industriale, rimane profondamente artigianale. E questo è un valore aggiunto di un piatto: dà la soddisfazione di qualcosa fatto con le proprie mani. Ciò che è sorprendente è che la grande maggioranza dei clienti di Pasta Evangelists sono uomini. Forse la ragione è la stessa che sta alla base del fatto che i grandi chef sono (quasi) sempre uomini… Può darsi, fatto sta che sempre più inglesi stanno diventando dei bravissimi “pastaioli”? Grazie ad un italiano che ha scelto l’estero per giganteggiare.